Giuseppina M. Picetti
Milleottocento miglia a sud di Sant’Elena

Titolo Milleottocento miglia a sud di Sant’Elena
Autore Giuseppina M. Picetti
Genere Narrativa - Storico      
Pubblicata il 07/04/2017
Visite 6145
Editore Liberodiscrivere® edizioni
Collana Il libro si libera  N.  170
ISBN 9788893390507
Pagine 208
Prezzo Libro 14,50 € PayPal

Versione Ebook

ISBN EBook 9788893390514
Prezzo eBook 4,90 €
1892. Nella cittadina costiera di Swansea, Galles, Jim, giovane orfano, fugge da una vita di abusi, furti e miseria grazie all’intervento di Giovanni Marani, ufficiale su una nave italiana: l’uomo, per salvare la vita al ragazzo, lo nasconde a bordo. Esplorando un inedito rapporto padre-figlio, i due si ritrovano compagni di viaggio fino al naufragio sull’isola di Tristan da Cunha, sperduta in mezzo all’Oceano Atlantico. Qui il bisogno di famiglia di Jim e di Marani trova finalmente risposta, in un’avventura che porta a galla trame passate e consolida legami futuri, narrata con uno stile asciutto che strizza l’occhio ai classici
Giuseppina M. Picetti ha di certo in mente Oliver Twist mentre scrive i primi capitoli del suo libro, ma non v’è dubbio pensi a L’Isola del Tesoro per i successivi. Jim, protagonista di Milleottocento miglia a sud di Sant’Elena, è un ragazzo che potrebbe avere l’età dei personaggi principali dei citati romanzi di Dickens e di Stevenson (dall’eroe del libro di quest’ultimo prende a prestito anche il nome), ma con uno sguardo - nel rapporto di fratellanza e nei riferimenti darwiniani che lo avvicinano all‘ufficiale Marani - al legame tra Jack Aubrey e Stephen Maturin nei romanzi di Patrick O’Brian, resi ancora più celebri dal film Master & Commander - Sfida ai confini del mare, diretto nel 2003 da Peter Weir. Ma non è tutto: dai rimandi alla vicenda del Bounty ai vincoli letterari con Edgar Allan Poe e con Jules Verne (entrambi autori di opere con richiami all’isola di Tristan da Cunha), ogni elemento di questo romanzo contribuisce a creare un grande e singolare affresco che, navigando tra i generi, narra un’avvincente storia di formazione, figlia consapevole della grande tradizione del romanzo storico d’avventura.
Sergio Badino
Swansea, Galles, 2 agosto 1892.
 
La prima luce del giorno si fa strada tra le assi della soffitta e colpisce gli occhi del ragazzo che si sveglia.
Nei pochi istanti che precedono la piena coscienza di sé, il suo sguardo si abitua alla penombra lasciandogli intravedere i corpi dei suoi compagni ancora abbandonati ai loro sogni. Nel buio si sentono i respiri regolari dei ragazzi. Qualche bambino piange nel sonno, forse per la fame. Su tutto la tosse di Annette che non è mai cessata un momento in tutta la notte.
Pensa a quale giorno possa essere, ma poi si chiede che importanza abbia per lui e per quelli come lui, condannati a ripetere ogni momento, ogni ora, la stessa vita: senza speranza, senza futuro.
“Jim, vieni subito qui!”
La voce catarrosa lo fa sobbalzare. Si alza di scatto e si reca nell’angolo che il vecchio aguzzino ha scelto come camera da letto e nascondiglio per la refurtiva. Lui giace lì, la gamba gottosa appoggiata a uno sgabello: attraverso gli stracci spuntano le ferite purulente.
“Eccomi, signor Joshuah.”
“Sei già in ritardo: va’ fuori e prendi con te Annette.”
“Signore, non sta bene: ha tossito tutta la notte.”
“Meglio. Farà più compassione e ti faciliterà il compito! Vedi di non tornare a mani vuote come ieri…”
“Veramente
“Non penso di dover discutere con te. Va’.”
“Andiamo, Annette.”
La piccola si avvicina:
“Posso darti la mano, Jim?”
Le prende la manina e si domanda quanti anni abbia. Così, a guardarla, potrebbe averne sei, ma anche otto.
“Quanti anni hai, Annette?”
La piccola scuote la testa su cui i capelli color stoppia formano una massa indistinta.
“Non lo so, all’orfanotrofio non me l’hanno mai detto…”
Si è già pentito d’averlo chiesto: d’altronde anche lui ignora la sua vera età: dodici anni, forse tredici.
 
 
 
È l’alba, ma le strade verso il porto sono già ingombre di carri colmi di sacchi di carbone. Si sente il vociare dei conducenti: un misto di incitamenti ai cavalli, urla per i distratti in mezzo al passaggio, insulti per coloro che rischiano di finire sotto alle ruote.
Dalle finestre le donne buttano quello che non ritengono più utile, mentre qualcuna si pettina o distende il bucato, dalla strada gli uomini del primo turno si chiamano per andare insieme al lavoro.
Sui muri delle case, come sugli abiti della gente, sui visi delle persone, si posa un sottile strato di polvere di carbone.
I due ragazzi che si aggirano per il porto della cittadina sono sporchi e laceri, ma nessuno sembra accorgersi di loro: la gente passa accanto, quasi li urta, troppo indaffarata per notare la piccola che chiede l’elemosina tossendo o il ragazzo che segue con gli occhi ogni passante. Ecco avanzare una donna carica di fagotti da cui spuntano ortaggi o involti di cibo. Tiene il capo basso, quasi persa in un suo pensiero. Jim l’ha vista. Fa un cenno alla bambina, che le corre incontro intralciandone il passo. La donna si ferma, ascolta quello che sta dicendo, vede la mano tesa, vede il volto sporco e, per un attimo, si smarrisce. Tanto basta a Jim per passarle dietro le spalle e sfilare dalla cintura un borsellino che porta legato in vita. Poi la corsa, mentre la derubata lancia grida come di bestia ferita. La gente per un attimo si ferma a guardare. In lontananza si sente il fischio del Bobby.
La corsa nei vicoli è una cavalcata tra ostacoli di ogni tipo: evitano cani che smettono di frugare nella spazzatura per abbaiare contro di loro; inciampano nei corpi di mendicanti che, da terra, esibiscono le loro miserie per commuovere i passanti; ubriachi e curiosi si attardano per vedere l’origine del trambusto. Infine trovano rifugio in un sottoscala, ma Annette è esausta: con la mano trattiene uno sbocco di sangue dalla bocca. Jim cerca di rianimarla, ma la piccola non riesce a respirare: la malattia e la corsa insieme son state una dura prova.
“Fatti coraggio, ancora un piccolo sforzo: dobbiamo andare via di qua prima che ci trovino le guardie.”
“Mi spiace, Jim, non mi riesce di muovermi: lasciami qui.”
“No, no, non posso lasciarti. Alzati, andiamo.”
Si guarda intorno in cerca di una soluzione e infine prende una decisione. Si allontana e, con una parte dei soldi trovati nel borsellino, compra un pezzo di pane e un bicchiere di latte per la bambina.
“Jim, sei pazzo: il signor Joshuah ci picchierà di nuovo.”
“No, se faremo le cose con attenzione, vedrai. Intanto mangia, troveremo una soluzione. Possiamo provare nei nuovi quartieri, può darsi che lì ci capiti qualcosa di meglio.”
“Jim, ho paura, ho tanta paura.”
“Coraggio, andrà tutto bene. Finisci la colazione.”
I due ragazzi si rimettono in cammino. La piccola, rinfrancata dal poco che ha mangiato, osserva con stupore e interesse la parte di città che si presenta ai suoi occhi: viali alberati delimitano villette con giardino, tate con bambini in carrozzina, signore con cappellino che vanno a far compere. La sua attenzione è attirata dai bimbi che giocano nei parchi: hanno giocattoli veri che lei non ha mai visto, neanche mai immaginato.
“Non fermarti, è meglio se non diamo troppo nell’occhio.”
“Dimmi, Jim: era una bambola quella? Hai visto? Aveva i capelli veri.”
“Andiamo via, stiamo attirando l’attenzione delle mamme, forse non è stata una buona idea quella di venire qui.”
“Ti prego, Jim, per piacere, ancora un minuto.”
Nel frattempo, una mamma ha avvicinato un poliziotto apparso come dal nulla, indicando i due ragazzi. Comincia una fitta conversazione, ma quando tornano a guardare verso Jim e Annette, quelli sono già scomparsi.
Corrono per strade sconosciute con il cuore in gola, si fermano a riprendere fiato dietro il muro di una chiesa.
“Dio mio, che corsa!”
“Però è stato bello, non lo dimenticherò mai più. Una bambola vera con capelli veri, quanto mi piacerebbe averne una così!”
Jim non commenta, per un attimo lascia che Annette si culli in quel sogno che lei stessa sa impossibile.
“Che cosa fate qui, bambini?”
Una voce alle loro spalle li fa sobbalzare: è una vecchia signora che li guarda con attenzione. Dal suo volto traspare una certa bontà.
“Chiediamo la carità.”
“Lo avevo immaginato. Penso che mio figlio, il reverendo, possa darvi un poco da mangiare, se volete.”
I due si guardano indecisi. Sanno che è loro proibito parlare con estranei. Per un attimo Jim apre la bocca per rispondere, poi fa cenno alla bambina e tutt’e due scappano.
Fermarsi avrebbe significato disobbedire. Impossibile: gli ordini sono troppi severi.
Tornati verso il porto, la sensazione è quasi quella di rivedere un vecchio amico. 
1892. Nella cittadina costiera di Swansea, Galles, Jim, giovane orfano, fugge da una vita di abusi, furti e miseria grazie all’intervento di Giovanni Marani, ufficiale su una nave italiana: l’uomo, per salvare la vita al ragazzo, lo nasconde a bordo. Esplorando un inedito rapporto padre-figlio, i due si ritrovano compagni di viaggio fino al naufragio sull’isola di Tristan da Cunha, sperduta in mezzo all’Oceano Atlantico. Qui il bisogno di famiglia di Jim e di Marani trova finalmente risposta, in un’avventura che porta a galla trame passate e consolida legami futuri, narrata con uno stile asciutto che strizza l’occhio ai classici

Giuseppina M. Picetti ha di certo in mente Oliver Twist mentre scrive i primi capitoli del suo libro, ma non v’è dubbio pensi a L’Isola del Tesoro per i successivi. Jim, protagonista di Milleottocento miglia a sud di Sant’Elena, è un ragazzo che potrebbe avere l’età dei personaggi principali dei citati romanzi di Dickens e di Stevenson (dall’eroe del libro di quest’ultimo prende a prestito anche il nome), ma con uno sguardo - nel rapporto di fratellanza e nei riferimenti darwiniani che lo avvicinano all‘ufficiale Marani - al legame tra Jack Aubrey e Stephen Maturin nei romanzi di Patrick O’Brian, resi ancora più celebri dal film Master & Commander - Sfida ai confini del mare, diretto nel 2003 da Peter Weir. Ma non è tutto: dai rimandi alla vicenda del Bounty ai vincoli letterari con Edgar Allan Poe e con Jules Verne (entrambi autori di opere con richiami all’isola di Tristan da Cunha), ogni elemento di questo romanzo contribuisce a creare un grande e singolare affresco che, navigando tra i generi, narra un’avvincente storia di formazione, figlia consapevole della grande tradizione del romanzo storico d’avventura.

 

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