Mi trovavo nel mio ufficio in commissariato.
Erano le undici di mattina di un venerdì di fine settembre.
Squillò il mio telefono cellulare, ed era Mirna.
“Ciao.”
“Mirna! Tutto bene?”
“Sì.”
“Solo sì?”
“No. È successo di nuovo.”
Lo capisco già dal tono della voce, dalle pause, dalle parole che mancano, soprattutto da queste, quando qualcosa non va come dovrebbe…
“Successo di nuovo, cosa?”
“Un ragazzo. È entrato in sala operatoria per una tonsillectomia, e ne è uscito in coma.”
Vuoto. La netta sensazione del mio cuore sospeso. Poi i battiti che tornano, regolari come il fluire del pensiero.
Sono quasi sicuro che non sia stato così, è ovvio, ma non mi piacque lo stesso.
Inspirai e cercai di non commentare, ma di prendere tempo.
“Mirna, mi dispiace. C’entri qualcosa?”
“Nooo, io mi occupo di toraci!”
Certo, lo sappiamo perfettamente, amore mio. A quest’ora lo sanno pure i muri; fu quell’indugiare sul “no” a far scattare in me un campanello d’allarme:
“Sì, lo so questo. E allora?”
“Le tonsille sono nella gola.”
… lo capisco anche dalla voce, perché è più bassa del solito, innaturale, quando quello che non va è qualcosa di preoccupante nel senso etimologico del termine, e cioè che me ne devo pre-occupare: Mirna è sconnessa e per penetrare nella sua mente devo riuscire ad aprire le porte dietro cui lei si rifugia, o alle volte addirittura si trincera, come le paratie stagne di una stiva, secondo una sequenza che lei cambia ogni volta per sfuggirmi, per non farsi trovare, o solo per difendere se stessa, o noi, magari. Una porta dietro l’altra, con metodo, senza saltarne nessuna, perché altrimenti a quella successiva non ti ci lascia nemmeno avvicinare, e allora devo ricominciare tutto daccapo, senza perdere la pazienza, e comunque dopo aver provato diverse chiavi prima di trovare quella giusta.
“E so anche questo, tranquilla. Stavano lì già ai tempi miei, lo sai? Vero è che è proprio da lì che me le levarono, quando ero piccolo. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri, tanto la gola mi bruciò. Non ti riguarda, allora?”
“Non esattamente. Mi riguarda lo stesso, ma non c’entro niente.”
Quando fa così effettivamente un po’ mi irrita, sono sincero, ma cerco di mettermi nei suoi panni, e mi sforzo di pensare che nonostante faccia seriamente il medico ormai da parecchi anni, certe cose ancora riescono a scuoterla al punto in cui forse non si rende nemmeno conto che chi è all’altro capo dell’apparecchio potrebbe anche andare in apprensione. Per cui mi limitai solo a concludere che in quel momento sarebbe stato perfettamente inutile insistere oltre, tantomeno spazientirmi, perché non era solo sconnessa ma anche scollata, e per tentare di rimettere assieme i pezzi avrei dovuto averla davanti e guardarla negli occhi. Così distante e al telefono non ci avrei cavato nulla, anzi, sarebbe stato addirittura del tutto controproducente, ma appena fosse riuscita a ritrovarsi quel tanto che basta, qualunque fosse stato il problema sarebbe venuto fuori da solo, un po’ alla volta, e intanto io avrei avuto il tempo di trovare perlomeno il mazzo di chiavi giusto.
“Perfetto. Direi che è tutto chiaro. Stasera usciamo, allora?”
“Certo, ho già prenotato.”
“A stasera, allora.”
“A stasera.”
“Ehi! Esagera pure, che non mi offendo…”
“D’accordo. Penso che il mio vestito ti piacerà.”
“Fantastico!”
Era ancora da qualche parte, lontana da me ma anche da se stessa, e cercai di non pensarci: sarebbe stato il terzo caso sospetto in poco più di un anno. Davvero una malaugurata coincidenza che non l’avrebbe lasciata dormire la notte.
Ah! A proposito, lei mi piace sempre e comunque, fosse anche vestita da Pippi Calzelunghe, e ogni volta ringrazio la sua voglia di essere elegante. Perlomeno per un momento, anche solo per un attimo, ha pensato a questo: a cosa mettersi quella sera, a come pettinarsi, alle scarpe…
Forse.
Rientrai a casa, e Mirna era già pronta per uscire. Indossava un abito blu intenso come il colore dell’acqua di mare a cinquanta metri circa dalla riva, lungo, aderente, con un profondo spacco laterale, scollatura a cuore, senza spalline, che aderiva perfettamente al suo corpo come una seconda pelle: uno spettacolo.
Raggiungemmo il ristorante parlando del più e del meno, senza nemmeno sfiorare l’argomento che però sapevo incombere; entrammo, al cameriere che ci venne incontro disse di aver fissato per due dando il suo cognome. Lui si allontanò quasi in punta di piedi, come levitando sul bellissimo pavimento in ardesia dell’elegante salone. I tavoli erano tutti occupati, e il cameriere tornò dicendo di no, che non risultava nessuna prenotazione, né per Santelmo né per Miraggio, né per oggi né per qualunque altro giorno di quell’anno di grazia, vedi mai.
Sarà anche stato un locale di quelli famosi, illuminato da un firmamento di stelle, frequentato da gente che diceva di intendersene, ma a me non dispiacque poi più di tanto che avessero combinato un pasticcio con le prenotazioni, e che purtroppo non ci fosse proprio più posto per noi due. Mirna in queste cose è grandiosa, incassò senza fare inutili polemiche o discussioni: si limitò solamente a riferire che la volta dopo avrebbe mandato loro un fax e preteso la conferma dell’avvenuta ricezione del medesimo stessa via, controfirmato e timbrato per accettazione e a garanzia di reciproca, irrevocabile intesa e accordo salvo contrordine, sempre scritto e rispettando la stessa trafila, augurò loro una buona serata, salutò con educazione sfoderando un dolcissimo sorriso, girò sui suoi tacchi a spillo, si buttò una specie di stola su di una spalla, manco fosse stato un boa da diva di Hollywood stile Wanda Osiris, e mi precedette avviandosi altera e algida verso l’uscita, seguita dagli sguardi di tutti i commensali che avevano assistito incuriositi e stupiti per la scena.
Era strepitosa, uscendo tutti si girarono al suo passaggio, ma sul momento non mi parve avesse riconosciuto qualcuno; di conseguenza, tirò dritto a passo di marcia senza girarsi o rallentare.
Non mi diede proprio, l’idea di volerci tornare nonostante l’orchestra dal vivo, il meraviglioso giardino fiorito, il panorama mozzafiato, gli eleganti e sofisticati arredi, la bellezza del posto nel suo complesso.
Di norma cerco di evitare le discussioni, mi guardai bene dall’intervenire perfettamente consapevole che, giunti a quel punto, sarebbe stato oltre che fuori luogo anche del tutto inutile, e decisi di riparare da Gianni, a Sori, dove ancora oggi si mangia senz’altro meglio, e con molte meno pretese.
Risalimmo in macchina, durante il tragitto chiacchierammo ma non mi disse altro, a proposito del ragazzo operato alle tonsille ed entrato in coma, anzi, mi diede proprio la netta impressione di volersi godere a ogni costo quella splendida uscita. Io però me l’aspettavo ed ero su chi va là, così non mi rilassai proprio del tutto e pensai che forse, per quella volta, avevo con buona probabilità esagerato a preoccuparmi.
Gianni ci ripagò completamente della delusione patita: non si tratta solo di mestiere ma di arte e passione; ne parlammo lungo la strada che, in parte per il vino bevuto, in parte per goderci fino all’ultimo quella bellissima serata di fine estate, decidemmo di percorrere a piedi lasciando la mia auto parcheggiata davanti al ristorante e attirando gli sguardi esterrefatti dei pochi passanti.
E anche quello che successe dopo, da soli e nel nostro letto, mi tranquillizzò quel tanto che basta da temere di essere diventato, col passare degli anni, un tantino paranoico.
“Tutto bene oggi?”
Le chiesi a letto tenendomela sul petto, la sera dopo, non ancora del tutto convinto, nonostante la dolcezza e la passione fossero sempre le stesse e proprio per questo, quasi timoroso di rompere la magia.
Non mi rispose dopo un secondo come fa di solito, quando va tutto bene, ma ce ne mise quasi tre per mettere insieme una sola frase breve, e pure semplice…
“Stavolta sono venuti a prenderseli in quattro, quando sarebbero bastati due” mormorò mezzo addormentata.
“Cosa e chi?”
“Sì, scusa, hai ragione. Gli organi da trapiantare.”
Un secondo. Stavolta ce ne mise uno solo, come al solito.
“E…?”
“Quattro persone: uno era senz’altro un medico, gli altri tre non credo proprio.”
“Saranno stati l’autista, e due amici…”
“Sono venuti in elicottero.”
“E non doveva essere proprio proprio tanto piccolo, allora…”
“Primo… Mi prendi in giro?”
Si era irrigidita quasi impercettibilmente e svegliata del tutto, a quel punto.
Sì, forse non era proprio il caso…
“No. No davvero. Sembra strano anche a me e la faccenda non ti torna, lo capisco.”
… e con gli anni ho imparato anche che quello che non torna a lei, non posso più permettermi di trovarlo solo strano: conviene che cominci a preoccuparmene subito, prima che la cosa mi colga impreparato, prima che sia troppo tardi.
Perché con lei è un errore che non mi posso permettere il lusso di commettere.
“Voglio vederci chiaro.”
Cosa avevo appena detto? Non lo dissi?
“Come?”
“Faccio alcune verifiche, alcuni controlli. Stai tranquillo, ci lavoro lì dentro. Nessuno ci troverà nulla di strano se farò qualche fotocopia, se apro alcuni file…”
Minchia… lei era di nuovo rilassata e sistemata meglio contro di me, appoggiando il seno contro il mio costato, la testa sulla spalla, le labbra sul mio collo, e passandomi un braccio sul petto, ma io, no.
E no! No che non ero più tranquillo!
“Vedi di non cacciarti nei guai, per l’amor dei Santi. Mi hai capito? O perlomeno avvisami, prima. Vorrei sapere sino a quando potrò fare sonni tranquilli, e da che punto in avanti non più.”
“Va bene. Ti farò sapere, quando comincerò a fare sul serio.”
“Facciamo un po’ sul serio insieme, adesso?”
Non so bene perché, ma ebbi come la sensazione che sino a quando si fosse lasciata toccare, sarei stato ancora in grado di capire e di esserle in qualche modo di aiuto. Però la paura più grande che cominciavo a nutrire da qualche tempo a quella parte, era di non riuscire più ad arrivare in tempo.
E con lei avrebbe anche potuto succedere.
“Non ha senso.”
Sempre a casa, la mattina dopo.
“Cosa?”
“Non ha alcun senso, che siano finiti tutti alla ‘Fiore di Maggio’.”
Ah, già! La sera prima, poi, non avevamo finito…
“Un asilo è?”
“No, è una clinica privata poco lontana da qui. Ho fatto alcune ricerche. È come se fossero tutti lì, i riceventi. Non funziona così, ovviamente. Sono gli organi espiantati, che raggiungono i loro nuovi ospiti.”
Mi stavo facendo la barba, e non era proprio il momento migliore, soprattutto quando uso la lametta. E infatti…
“Minchia, Mirna. Avevamo stabilito che avresti solo guardato un po’ in giro!”
Mi aveva raggiunto in bagno, nel frattempo, e ovviamente:
“Primo! Ti sei tagliato…”
…appunto…
“E si vede che non ho più la mano ferma di un tempo…”
“Sei pericoloso, allora. Rappresenti un potenziale pericolo per i membri della collettività…”
“…e con la lametta magari anche, ma per il resto, lascia fare… Pure tu, comunque, non è che sei proprio Madre Teresa di Calcutta, eh…”
“L’hanno fatta beata, nel frattempo…”
“Santa ancora no?”
“Ci vuole del tempo e un altro miracolo…”
“…apposta, ma uno grosso grosso. “
“Ce la farà.”
“Chissà? Magari, se ti avesse incontrata prima…”
“Non merito tanto.”
“…ma soltanto perché non vi siete mai trovate sullo stesso parallelo, ed è riuscita a starti alla larga, finora, altrimenti saresti stata perfetta.”
“Ma è qui vicino, non è mica in Patagonia!”
“Ma chi? Madre Teresa? Ma non è già morta?”
“La clinica!”
E ti pareva…
“Perché non mi hai detto che avresti ficcato il naso dappertutto?”
“Perché avresti brontolato prima.”
“E ora?”
“Ora hai brontolato solo dopo. Hai visto che ho fatto bene? Ci ho guadagnato, e ti ho anche evitato del nervoso anzitempo, visto che ne hai già abbastanza di tuo… ma adesso basta, io mi fermo qui.”
Sì, questa è Mirna, per chi non lo avesse ancora capito, ma ormai, chi me lo abbia fatto fare non me lo domando nemmeno più.
“Ho capito. Allora devo continuare io?”
“Sì, sei più bravo e più grande.”
“Un po’ troppo comodo, così, dottore, non ti pare?”
“Noblesse oblige, commissario…”
“Ah, ecco! E per quale membro della collettività rappresenterei un potenziale pericolo, secondo il tuo illuminato pensiero?”
“Era per dire. Non prendere sempre per oro colato tutto quello che dico. Tendi a farne una questione personale in un modo preoccupante, Primo. Dico sul serio…”
“Attenta perché tutto quello che dirai, da ora in avanti, potrebbe venire usato contro di te. Anch’io sto parlando seriamente perché sei tu, un pericolo costante, incombente e imminente, almeno per il sottoscritto… Vediamo chi fa più sul serio, ora, o si finisce con una partita a briscola? È ancora presto…”
“Non sono capace.”
“Apposta lo dissi…”
… perché ancora oggi, tutte le volte che dorme al mio fianco, non posso fare a meno di pensare che potrebbe anche essere l’ultima.
Dopo alcuni controlli, e fra una fotocopia e l’altra, Mirna aveva scoperto che gli organi erano finiti presso una clinica privata situata a Varazze, a una trentina di chilometri da Genova, una struttura moderna che aveva vissuto momenti esaltanti in quanto complesso alberghiero di lusso, a picco sul mare e in posizione sopraelevata; si godeva di un’ impareggiabile vista ed era stato trasformato, una decina di anni prima, in una residenza protetta per anziani e disabili, dopodiché in un centro di riabilitazione, e infine in clinica privata, appunto.
Voci non ne giravano: nessun guaio, nessuna segnalazione tantomeno denunce, nessuna indagine; tutto tranquillo, in apparenza.
Mi ripromisi di fare eseguire qualche ricerca più approfondita da Sergio Firpo, il mio giovane e affidabile vice-ispettore che si sarebbe senz’altro divertito, per avere un quadro più preciso, e partendo dall’inizio della sua storia.
Così, giusto per essere pronti a ogni evenienza.
Con gli anni sarò anche diventato paranoico, ma se sono ancora vivo, forse lo devo in parte anche a questo.
Sei mesi più tardi, nell’ospedale S. Martino di Genova venne ricoverata Clara, una giovane donna in stato interessante e colpita da aneurisma cerebrale con poche prospettive di recupero.
Mirna aveva parlato a lungo al telefono con un certo Dottor Piergiorgi, il titolare della clinica ‘Fiore di Maggio’, e avevano combinato di incontrarsi l’indomani per discutere a proposito di un’ eventuale collaborazione. Ero perplesso, ma non c’era davvero nient’altro che potessi fare.
Quella sera stessa, a casa, mi raccontò la conversazione.
“Qualcosa non ti torna?”
“Non mi piace nemmeno un po’, un tipo dal quale stare alla larga. Non saprei dirti perché. È solo una sensazione, ma è molto forte.”
Il suo tono sostenuto non lasciava spazio ad alcuna speranza.
“E questo l’avevo capito. Nemmeno a me piacciono tutti quelli che incrocio per la strada, ma ciò non mi autorizza a passare loro sopra con la macchina…”
“Girano delle voci, a proposito di Piergiorgi.”
“Voci di che tipo?”
“Che sia ben ammanicato con gente importante. Che abbia le spalle coperte, che sia un intoccabile. Cosa significa?”
“Può voler dire tutto come niente…”
“Non mi sembra proprio, che non voglia dire niente…”
Ovvio.
“Lo devo incontrare domani pomeriggio alle tre, nel bar della stazione.”
“Stammi bene a sentire: non fare domande e non essere curiosa. Potrebbe essere pericoloso. Lasciagli intendere che ci devi pensare bene, che ne devi parlare prima con me, non esporti subito…”
Nutrii la speranza che sarebbe bastato, che Piergiorgi avrebbe desistito, che perlomeno si scoraggiasse.
“Limitati ad ascoltare, se puoi, lascialo parlare il più possibile. E inoltre, preferirei che tu indossassi una trasmittente. Sarei più tranquillo. Te lo chiedo per piacere.”
Le risposi calcando forse un po’ troppo sull’ultima frase, perché Mirna cambiò impercettibilmente il tono della voce staccando meglio le singole parole, quando continuò.
“Va bene, vorrà dire che d’ora in avanti presterò particolare attenzione a non farmi cogliere in flagranza di reato… Va bene così? Davvero, Primo. Puoi stare assolutamente tranquillo.”
“No, guarda, non penso proprio. Perché di stare assolutamente tranquillo, come dici tu, io ho smesso nel momento esatto in cui ti ho conosciuta, per cui…”
“Rimediamo subito, se vuoi. Non c’è nessun problema…”
Mi rispose voltandomi le spalle e uscendo dalla nostra camera.
Ma porca miseria…
“Ehi! Non dire stupidaggini nemmeno per scherzo. Non pensarlo neppure per sbaglio. Mi hai capito bene?”
Non le corsi dietro, non ancora, ma avevo bisogno di abbracciarla per capire se ci fosse davvero un problema.
Lei si bloccò, girò piano prima la testa, poi le spalle, poi tutto il resto, mi fissò per alcuni secondi con la testa leggermente piegata verso sinistra, in un atteggiamento che con il passare degli anni avrei imparato a interpretare di volta in volta e a seconda delle situazioni, ma da non sottovalutare nel modo più assoluto, tornò lentamente sui suoi passi senza cambiare espressione o abbassare lo sguardo nemmeno quando si avvicinò, ma rimanendo staccata di due passi da me con le braccia leggermente staccate dal corpo.
Poi si lasciò perlomeno abbracciare.
Il problema c’era e pure grosso, ma non eravamo noi due, per fortuna…
La sera stessa, dopo aver incontrato il Dottor Piergiorgi, a casa mi fece sentire la registrazione della conversazione avuta con lui nel pomeriggio al bar della Stazione di Piazza Principe.
“Ho capito bene? Alla fine ha parlato di clienti, non di pazienti. Ha detto proprio così?”
“Alla fine sono quello, immagino. Sarei proprio curiosa di sapere cosa ci vanno a fare, lì dentro, certi ‘clienti’…”
No, malauguratamente tu non lo saresti soltanto: tu sei, pericolosamente curiosa… Sottile e sostanziale differenza.
La sera seguente, a casa.
“Che te ne pare, al di là di un sacco di parole?”
“Del medico non sento niente. Più che altro mi sembra l’amministratore delegato di una finanziaria della City londinese, con i suoi mocassini e la ventiquattro ore ‘Very British’. Del giuramento di Ippocrate secondo me non si ricorda nemmeno una parola, sempre ammesso che lo abbia mai pronunciato…”
“Cosa conti di fare?”
“Ci vado. Vado a vedere cosa mi lasceranno guardare, e se riesco a capire qualcosa di più. Potrei registrare tutto.”
Eravamo a tavola, era riuscita a farmi passare l’appetito, e c’erano i bimbi. Dopo averli messi a dormire continuammo la discussione.
“Tu stai scherzando, vero? Non stai parlando sul serio?”
“Certo che no, e ovviamente sì. Ti sembro una che scherza?”
No, era solo una pia illusione…
“Tu sei pericolosa. Te ne rendi conto, perlomeno?”
“Sì, lo so, ma solo perché sono anche molto arrabbiata. Non so come spiegartelo; mi ha fatto una pessima impressione, Primo. Proprio brutta. Mi si sono rizzati i peli sulle braccia, che è tutto detto.”
“A posto, siamo. No, della rabbia ti devi liberare. Dura e determinata quanto ti pare, non necessariamente cattiva, ma arrabbiata, mai: è quello che ti rovina.”
“D’accordo. Ci starò attenta.”
“Brava ragazza. Brava!”
… e non eravamo nemmeno alla lezione numero uno.
Così, un venerdì mattina appena smontata dal turno di notte, ci andò, alla clinica. Da s’ola, ovviamente. Lei, e la micro trasmittente.
“Buongiorno a tutti. Firpo, fra cinque minuti vieni da me.”
“Sì, Commissario. Buongiorno.”
Dopo cinque minuti spaccati, sentii bussare alla porta.
“Avanti! Oh bravo, Firpo. Entra, e chiudi la porta.”
“Mi dica Commissario, qualche problema?”
“Non lo so ancora di sicuro, ma temo proprio di sì. Stammi bene a sentire: voglio sapere letteralmente vita, morte, e miracoli di un certo Dottor Pergiorgio Piergiorgi. E non è un eufemismo, stavolta: da dove arriva, cosa ha fatto, dove va in ferie, dove compra i vestiti, che macchine ha avuto, chi conosce, chi frequenta, dove e con chi mangia fuori casa, cosa combina, ma soprattutto che cosa non, ha fatto, e che avrebbe potuto o dovuto. Hai capito cosa intendo dire?”
“…e ho capito, Commissario, ho capito. Non sarebbe mica la prima volta. Qualcosa di preoccupante?”
“Eh! Hai detto bene: qualcosa di cui preoccuparsi nel senso letterale ed etimologico del termine, di cui occuparsi prima, prima che sia troppo tardi…”
“Mi può dire un pittinin de ciù, o è ancora un po’ presto?”
“Un puttanino?”
“Un pitti… un pochettino, di più.”
“Ah! E parla italiano, sii buono. Dipende macari da quello che mi conterai domani.”
“Magari domani?”
“Sì, domani mattina. Qualche problema?”
“Signornò, Commissario. Si figuri! Ho tutta la notte…”
“E allora vai a casa un po’ prima, stasera, così hai più tempo.”
“Grazie.”
“Prego.”
“È tutto?
“E tutto.”
La sera stessa, appena rientrata dalla ‘Fiore di Maggio’.
“Avessi visto che roba! Noi non avremo mai tutte quelle apparecchiature, nemmeno se vincessimo al Totocalcio.”
“Totocalcio?”
“C’è ancora?”
“Sì, sì, ancora non l’hanno fatto fuori, quello…”
“Ah, perfetto. Ora, non mi aspetto di trovare l’America, qui, ma davvero, Primo. Hanno veramente quanto di meglio e di più costoso si possa trovare nelle migliori strutture che io abbia mai visto sino a ora. I genitori di Clara hanno firmato per il trasferimento. Domani la faranno portare là.”
“Non ne sei convinta.”
“Non sono convinta di che cosa?”
Quando fa così, fiuto aria di guai come gli animali selvatici della foresta poco prima di un cataclisma, ed è un po’ come mettere il piede sopra una mina anti-uomo: non puoi muovere un muscolo, ed è assolutamente necessario l’intervento degli artificieri.
“Non sono convinta che non la potremo più controllare, che pertanto potranno farne tutto quello che vorranno, e nessuno potrà più intervenire? Non sono convinta che se malauguratamente dovesse accadere il peggio, nessuno farà domande, tantomeno ricerche, e quella povera ragazza non farà la fortuna di troppe persone? Certo, che non sono assolutamente convinta di tutto questo. Devo continuare?”
“No, credo di aver capito, sei stata chiarissima. Adesso, però, calmati. Vieni qui, guarda che spettacolo, stasera…”
“Hai… sentito tutto?”
“Sì. Vacci piano.”
“In che senso?”
“Non lo irritare. Non sarà un genio, ma nemmeno così stupido da non capire almeno in parte i tuoi doppi sensi. L’allusione alla Bella Addormentata nel Bosco e al lupo di Cappuccetto Rosso è stata un azzardo, ed era sin troppo ovvia. Se si sentirà tranquillo con te forse si sbottonerà di più. Se ti dimostrerai più intelligente del previsto potrebbe stare sulla difensiva, e questo non ci aiuterebbe.”
“D’accordo. Manterrò un ‘basso profilo’, allora.”
“Ecco. Brava, dottore.”
Si accoccolò fra le mie braccia come un cucciolo. Sentii che si stava rilassando appoggiandosi a me, ma non mi lasciai ingannare: sapevo perfettamente che sarebbe andata sino in fondo a questa storia ovunque l’avesse portata, perché i tornado, o prima o dopo e da qualche parte, devono per forza di cose scaricare tutta la loro devastante potenza senza guardare in faccia a nessuno.
“Voglio fargli credere che accetterò, che collaborerò con loro relativamente ai nostri pazienti che verranno portati lì con la convinzione che questa sia la cosa migliore per loro. Non posso davvero convivere con il sospetto, o anche solo il dubbio, che ci possa essere qualcosa di marcio, dietro a tutto questo…”
“Per cui?”
“Ci torno e combiniamo. Accetterò di occuparmi dei pazienti che verranno trasferiti lì dall’ospedale. La convenzione con la Regione prevede otto posti-letto per gli esterni. Vediamo cosa succede. Domani chiamo il mio nuovo capo, e stiamo a vedere.”
“Voglio che tu indossi sempre la micro-trasmittente e ti faccio installare anche un rilevatore GPS sulla macchina. Dobbiamo anche concordare alcune norme di comportamento: domande e risposte in codice nel caso non potessi esprimerti liberamente. Avrei solo voluto disporre di più tempo per conoscerti meglio e capire dalle tue azioni quello che stai combinando veramente, ma dovremo arrangiarci con quello che abbiamo. Questa storia non mi piace, e spero solo di non dovermi pentire di averti lasciato fare di testa tua.”
Così la mandai a frequentare un corso accelerato per dilettanti allo sbaraglio giusto per acquisire una parvenza di sicurezza, più per tranquillizzare noi che per reale utilità, comprensivo delle basilari tecniche di comunicazione, linguaggi in codice, di cosa fosse permesso e quanto, invece, assolutamente da evitare.
Tutto ciò che era possibile insegnare in due giorni a un medico incosciente che aveva deciso di sfidare il drago.
Era commovente, disponibile, convinta, assolutamente determinata, e la lasciai nelle mani di Firpo e del tecnico, perché io non avrei nemmeno saputo da dove cominciare.
Lunedì Mirna andò alla clinica dopo aver annunciato al Dottor Piergiorgi la sua decisione di collaborare con loro da esterna, con sé aveva la micro-trasmittente che, da quel momento in poi, avrebbe tenuto appiccicata come una seconda pelle e convinta di saperci convivere.
“Commissario…”
“Oh, Firpo! Entra, entra; novità?”
“Ho fatto qualche ricerca a proposito del Dottor Piergiorgi come mi aveva richiesto e porto carico, Commissario.”
“Accomodati. Sono tutto orecchi.”
“Allora: Piergiorgi Piergiorgio di anni cinquantanove, del fu Aldo, piccolo commerciante all’ingrosso di primizie e ortaggi e di Lo Cicero Marta, casalinga e defunta lei pure, figlio unico, e coniugato con Fontanabella Augusta, vedova separata di Pipolo Aristide, perita lei pure due anni fa all’età di anni settanta in un incidente automobilistico occorso a entrambi mentre il Piergiorgi era alla guida del suo veicolo modello ‘Audi 8’ targato DA…”
“Firpo, va’ avanti e metti delle virgole in più, altrimenti scoppi.”
“Sì, Commissario, mi scusi… con il quale il Piergiorgi percorreva alla velocità di chilometri orari settantasette il rettilineo in direzione Bargagli.“
“Firpo!”
“E va be’, Commissario! Me l’ha detto lei: vita, morte e miracoli!”
“E ho capito, ma stringi.”
“…lasciando orfani i due figli di primo letto della Fontanabella Augusta, e precisamente: Pipolo Giovanna, coniugata a, e ora separata da, Siniscalchi Goffredo, e Francesco, scapolo e nullafacente, entrambi di condizione agiata stanti le ottime condizioni economiche familiari pregresse. Laureato in medicina a Genova dopo tre anni fuori corso, e con una votazione piuttosto modesta, riesce comunque a entrare come tirocinante nell’Ospedale di Sampierdarena e, dopo altri tre anni, a specializzarsi come medico vascolare. Dopodiché inizia a ricoprire ruoli vacanti in giro per la regione sino al matrimonio contratto quindici anni fa con la sunnominata Fontanabella Augusta, vedova Pipolo…”
“…perita lei pure, ho sentito. Fammi capire: a conti fatti lei era più vecchia di lui di una decina d’anni circa?”
“Eh… ben tredici, per l’esattezza, Commissario!”
“Va be’, che vuol dire?”
“Niente, Commissario, capita…”
“Sssì. Vai avanti.”
“Non gode proprio di una buona fama, ma perlomeno pare non abbia ammazzato nessuno…”
“Una scartina, insomma…”
“Esatto. E forse, intuitosi trombato a vita e con poche prospettive di farsi strada da solo, dà le dimissioni e rileva una quota della società a responsabilità limitata del Residence ‘Fiordaliso’ in località Fornaci. Ha presente?”
“Sì, che adesso si chiama ‘Fiore di Maggio’ ed è una clinica privata…”
“E allora se sapeva già tutto, che cacchio dovevo trovare, Commissario?”
“Va be’, proprio tutto tutto, non lo sapevo. Mi mancavano i passaggi intermedi e mi servivano delle conferme. Si ricicla albergatore, insomma. Vai avanti.”
“Viene nominato e accetta la carica di amministratore delegato della società che compra la struttura, e avvia l’iter burocratico per trasformarla da complesso alberghiero in residenza assistita per anziani prima, ottenendo i finanziamenti dalla regione, in centro di riabilitazione per poli-traumatizzati a seguire, ma che ebbe poca fortuna e conseguentemente vita breve, e infine in clinica privata della quale viene nominato direttore sanitario, per aggiudicarsi la quale la moglie partecipa all’asta giudiziaria a seguito del suo fallimento. Del residence, intendo.”
“Combinazione! I soldi dove li ha presi? Non è ricco di famiglia.”
“Adesso ci arrivo. Glieli prestarono, comunque…”
“Ho capito. Per cui la clinica era di proprietà della moglie che molto generosamente a suo tempo liquidò la quota del residence di Piergiorgi. Diciamo poco prima del fallimento, magari…”
“Come faceva a saperlo, Commissario?”