sclerosimultipla
Ho inciampato nel respiro di “Lei”

Titolo Ho inciampato nel respiro di “Lei”
Autore sclerosimultipla
Genere Narrativa      
Pubblicata il 03/02/2020
Visite 1876
Editore Liberodiscrivere® edizioni
Collana Spazioautori  N.  3760
ISBN 9788893391870
Pagine 100
Prezzo Libro 10,00 € PayPal

Versione Ebook

ISBN EBook 9788893391863
Prezzo eBook 2,99 €
Cosa dire? Nelle mie condizioni, le arrabbiature vincono 10 a 0 sulla tranquillità. Io sono molto contento di dare del filo da torcere a questa limitazione che mi obbliga a chinare la testa e accettare una vita di serie “B”. Non per questo rinuncio ai piaceri della vita: nel reale, una mano mi serve, ma le note sparse nell’aria formano una musica che ricorda la danza e il respiro delle passate sere d’estate.
-Ma te, hai visto quella persona in carrozzina?-
-sì-
-sai chi è?-
-il viso non mi è nuovo, ma no, non lo so-
-è il figlio del maestro Minotti-
-porco cane, ma cosa gli è successo?-
-dicono che sia malato, non so bene di cosa; comunque non cammina più-
-porco cane, è da poco che gli è morto il fratello Alberto, aveva si e no 62 o 63 anni, porco cane ma che sfortuna-. 
Questa è la fotografia del mio presente colto dai mormorii spesi da persone dagli occhi sbiechi e fissi su me che passeggiavo serenamente per il centro sulla mia carrozzina. E poi mi dicono: dai, forza, sei circondato solo da amici; è facile dirlo o scriverlo, tutt’altro è viverlo. Penso, comunque, che i veri limiti esistano solo in quelle persone che mi guardano: loro non sanno che un invalido in famiglia porta benefici a tutti. Devo guardarmi solo da chi si avvicina troppo al mio mondo: nasconde interessi di convenienza.
Quando mi accorsi che qualcuno mi strattonava la mano mentre camminavo in quel verde prato con all’orizzonte alti scogli spruzzati dalle onde del mare… caddi e subito mi avvolse la realtà che aiutò ad alzarmi e mi sussurrò all’orecchio di proseguire con lo scooter.
Lascia perdere gli atti di eroismo, non ne sei tagliato e poi “io” cosa ci sono a fare? Ti ho aspettato tanto, ora sei mio, non mi sfuggi più. “Lei” mi parlava chiaro, non riuscivo a contraddirla, perché tentava di prendere la parte più importante di me: la mente. Le gambe ormai erano sue; il deambulatore o la carrozzina mi portavano a spasso e la fisioterapista Romina mi spronava a non demordere mai… non so bene chi insisteva di più se io o lei! fatto sta che camminavo con lei dietro che correggeva i miei errori e soprattutto le mie titubanze. La sclerosi multipla è veramente una brutta bestia; solo a nominarla mi si accappona la pelle, ma devo conviverci e grazie al cielo ho un nemico che per ora tengo alle corde. Sono fortunato, sì nella sfortuna sono fortunato: vedo attorno a me un mondo malato e sento sempre più notizie di giovani persone che sono sulla via del non ritorno. Che bello spettacolo, meno male che stasera vado a cena da amici spensierati e poi a casa a letto con Mery… a leggere silenziosi i nostri libri! L’oggi mi prende per mano, seguo a passi lenti la sua traccia e se decido di deviare ed andarmene, incontro sempre qualcuno che mi rimette in carreggiata. La mia strada è ormai segnata, come del resto per tutti, giovani o anziani che siano; certo io ho l’aggravante della malattia, ma ciò non giustifica il fatto di pensare anzitempo al trapasso. Quando verrà il suo tempo io desidererei essere cremato e le mie ceneri poste in un’urna accanto a mamma, papà e fratello Alberto. Non bisogna parlarne tristemente, anzi tutti devono affrontare di petto il momento e vivere concretamente tutte le sfaccettature che la vita ci offre. Ok chiusa la parentesi. Era solo un’importante traccia per chi dovrà operare. Dicevo della super velocità dei miei passi: come posso lamentarmi, se le persone che ronzano attorno a me, non ci fanno quasi più caso. Ormai il mio è diventato un “modus vivendi” entrato nella realtà di tutti i giorni quasi ad offuscare il vero significato della patologia.
Quella voce fuori campo ritorna per ricordarmi di tenere i piedi per terra, di non fare tanto il saputello perché “io” vado avanti anche se tu sei clinicamente stabile.
-però un giorno me la devono raccontare giusta eh-
Non ti accorgi che fai tanta fatica e che stai bene solo seduto? Bene è così che bisogna fare: non ribellarsi, ascoltare e seguire le indicazioni prestabilite.
Ed eccomi ancora sullo scooter che gironzolo per i miei campi: ho fatto veramente bingo a comprarlo!! In effetti è costato un po’ e le istituzioni non mi hanno dato nulla. Romina me lo dice sempre: ai bisognosi non vengono incontro ed è tutto molto più caro…è un mercato di nicchia… se tu hai bisogno paghi. È così che funziona, la legge del mercato non guarda in faccia a nessuno. Ma loro non lo sanno, io ho acquistato la mia libertà, l’ho riacciuffata per i capelli ed ora solo la pioggia può fermare le mie scorribande. Non è solo tollaquello che porto a spasso, è la mia anima gemella che corre per farmi vedere che con tanta fantasia posso riesumare i miei tempi migliori. Occorre poco, il pensiero vola a quando le mie gambe facevano giudizio e non mi accorgevo neanche di averle: facevano la loro parte ed i miei pensieri erano altri. Ogni cosa assume importanza quando è chiamata! Le mie gambe, quel giorno, mi hanno risposto, mi hanno fatto l’occhiolino complice e hanno rallentato l’andatura inciampando pure per terra. Da allora ho capito che mi dovevo concentrare per andare avanti e lasciavo così sul campo le mie aspirazioni di diventare una persona da ricordare per il suo grande dinamismo e spregiudicatezza nell’affrontare le difficoltà. Ora mi ricorderanno con un velo pietoso e parole di compianto che non lasciano spazio a ricordi diversi. Ed io intanto vado col mio scooter verso un orizzonte che sa di erba appena tagliata, e lì incontro lei, seduta su una panchina a riposare, sudata per la corsa la mia anima gemella sapeva che sarei arrivato, mi aspettava. È difficile parlare a sé stessi se non si ha la mente libera e serena, le contraddizioni sono tante e le priorità si accavallano, si scalzano per farsi notare; e quella panchina è vuota, ci sono solo io col mio scooter che guardo con occhio opaco ed estraneo quel sentiero che porta verso casa. È ora di tornare: saluto il mio rifugio ed a manetta attraverso l’ombreggiato bosco che profuma di natura e vado.
 
La mia voce fuori campo s’intromettetra le foglie mi sussurra che faccio bene a fuggire dalla realtà, perché “Lei” è ostica e non mi molla, tanto sa che alla fine sarà “Lei” a sventolare la bandiera della vittoria.
 
Quella strada mi ricorda il mio amico Sergio, quando mi sorpassava col suo camioncino pieno di cassette d’acqua, mi suonava sempre due colpi di clacson e mi salutava col braccio fuori dal finestrino; ora che se n’è andato per sempre, sono io che lo chiamo con due colpi di ghit ghitdel mio scooter. Era un personaggio unico sempre disponibile, un grande lavoratore, un amico; quando veniva a trovarmi aveva sempre qualcosa per me. Sergio, quante ferie abbiamo fatto insieme! Stavamo tutti bene e ci univa la voglia di raccontarcela e commentare gli accaduti. Chissà perché, col passare degli anni, i ricordi si focalizzano su quelle persone ormai andate per sempre, che riconosciamo solo dalla fotografia sulla lapide; eppure succedono tante cose belle… uno sposalizio… una nascita… un battesimo… li viviamo come se fossero dovuti e facenti parte di un susseguirsi di eventi già vissuti, conosciuti… “quando io e la tua mamma eravamo giovani non c’erano tutte queste cose ecc. ecc”. È un riconoscersi anzianetti, passati, senza più nessuna grossa pretesa se non quella di essere lasciati un po’ più tranquilli. Ed in questo quadro si infiltrano i problemi di salute che l’età inevitabilmente porta: chi più e chi meno deve sopportare i suoi, incolpando una volta il tempo umido, un’altra la postura, un’altra ancora il materasso e poi basta, perché potremmo incolpare perfino chi ci aiuta e sogghigna per le nostre comuni invenzioni, tralasciando quella vera: l’età.
 
 
Lo chiamo impropriamente amaro questo ricordo, ma il mio dottore di allora Ennio nel suo ambulatorio, con poche verifiche mi ha detto due cose: 
- hai la stessa malattia di suor Rosa. La sclerosi multipla. Ma non preoccuparti esageratamente, oggi ci sono tanti medicinali che la controllano-
-vai all’ospedale di Monza e fatti visitare e seguire dal primario neurologo di questo reparto; lì sono bravi, capiscono e soprattutto sono umani; vai e fammi sapere.-
Sono passati quindici anni, ammiro questa persona che dopo in un’altra occasione mi ha detto:
-Giorgio, la tua vita è sempre tutta di corsa, neanche respiri, qualcuno ha pensato di rallentarti, fermarti; lavora con quello che hai dentro, non pensare alle gambe, hai in te un mondo che devi fare uscire. Fallo.
- Il mondo invece mi è caduto a pezzi, mi è apparsa in un flash un’immagine del mio futuro, non potevo, non volevo. Le figure mi apparivano già distorte, le parole cariche di eco, la mia lingua, alla ricerca di lettere sciolte, roteava nella bocca per formulare una storia sensata.
E così quel giorno presi la decisione di smettere la cura: ero in macchina, mi fermai in uno spiazzo e telefonai alla neuro: mi convocò con urgenza ed insistette perché ci incontrassimo in H. alle cinque del pomeriggio per parlarne. Erano le tre ed avevo due ore buche, le riempii girando a vuoto e telefonando ai miei colleghi scambiando opinioni ormai trite e ritrite su lavori che si stavano concludendo e consegnando. C’era la mia neurologa, poi in quell’ufficio apparirono altre quattro donne in camice bianco: riconobbi la vice-primario, gli altri volti erano noti, ma non ne ricordavo né il nome, né il ruolo. Sostenni a spada tratta la mia tesi avvalendomi soprattutto degli sballati esami ematici che denunciavano delle notevoli discordanze dai parametri di riferimento proprio da quando iniziai le punture. La vice-primario si accostò a me, mi prese sottobraccio e mi disse: lei è una persona molto intelligente, io le sospendo la cura in corso, ma non posso lasciarla scoperta. Per due mesi non faccia niente, controlli solo che i valori rientrino; poi inizieremo con un’altra cura molto più blanda e vedrà che la sopporterà. Aveva ragione: sono ormai quasi nove anni che faccio una punturina qua e là e al momento sembra vada bene. “Lei” mi prese una mano, mi accompagnò dove tutto era più buio e là incontrai le persone che non vedevo da tempo. Sperava avessi paura, ma dopo i convenevoli con gli amici di un tempo, strattonai io la sua mano e tornai dove il sole e la luce ritemprarono il mio corpo, la lasciai e andai… dove i ricordi, amari o dolci che siano si presentarono davanti agli occhi ed in un lampo cambiai visuale fino a incontrare quella lunga strada senza curve, ma con tante cunette e buche che mi costrinsero a fermarmi: pensai. Non doveva essere così; l’illusione di quella strada mi ha fregato! Io col mio scooter a orecchie basse tornai sui miei passi e facendo finta di niente mi allontanai.
Cosa dire? Nelle mie condizioni, le arrabbiature vincono 10 a 0 sulla tranquillità. Io sono molto contento di dare del filo da torcere a questa limitazione che mi obbliga a chinare la testa e accettare una vita di serie “B”. Non per questo rinuncio ai piaceri della vita: nel reale, una mano mi serve, ma le note sparse nell’aria formano una musica che ricorda la danza e il respiro delle passate sere d’estate.

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