Paralipomeni, cose tralasciate
Presentazione di Paolo Cozzaglio
Mi sono chiesto cosa possa aver tralasciato Massimo Marasco nel suo precedente libro Oltre il sadomasochismo, testimonianza accorata e sincera della problematica che l’autore porta con sé fin dai tempi dell’infanzia e che ha riletto come problema relazionale umano alla luce della psicoanalisi. Quella prima riflessione era già stata per me fonte di conoscenza e ispirazione nel capitolo del mio saggio Confini borderline, in cui illustravo la dinamica sadica e masochistica di rapporto come un modo trasversale dell’interdipendenza, dove il piacere intersoggettivo dell’incontro con l’altro è sostituito dalla vessazione dell’altro come oggetto.
Le cose tralasciate o da completare, piuttosto, arricchiscono la precedente opera di Marasco con ulteriori riflessioni sul sadomasochismo come nevrosi; sulle considerazioni che Silvia Montefoschi - grande e illuminata psicoanalista di formazione junghiana scomparsa nel 2011 - ci ha lasciato sulla “legge del tabù dell’incesto”; sul rapporto tra uomo e donna alla luce dello spirito e del corpo.
Il sadomasochismo come nevrosi
Il sadomasochismo è quella modalità relazionale che prende forma in un rapporto di interdipendenza simbiotica trasversale a diversi stili di personalità, che accentua la separazione tra soggetto e oggetto che diventano rispettivamente, e in modo reciproco, incubo e succube. Marasco fa giustamente notare che “l’immaginario sadomasochista mostra che la separazione tra incubo e succube è un conflitto interiore a ciascun essere umano” (pag. 56). Proprio per questo, considerando la nevrosi in continuità con l’attitudine del soggetto umano di venire a capo di un problema che pone a sé stesso come insolubile, il sadomasochismo “dà voce alla desiderata istanza liberatoria nel modo proprio della nevrosi” (pag. 38). L’autore con ciò esplicita la visione liberatoria della nevrosi proposta da Silvia Montefoschi, in cui il soggetto umano “non riuscendo a dare al conflitto la soluzione sul piano di coscienza, la tenta, suo malgrado e a sua stessa insaputa, cacciandosi in quella condizione di esistenza, deviante dalla norma, che è detta condizione nevrotica”. Il modo in cui il sintomo nevrotico cerca l’uscita dal problema è quello di “fare il discorso alla rovescia”, cioè di accentuare - di portare alle estreme conseguenze - il conflitto che si dà nel soggetto. Questo per dimostrare l’incompatibilità dell’arroccamento del conflitto con la vita stessa dell’uomo che ha come caratteristica quella di essere in perenne trasformazione; il sintomo nevrotico, invece, irrigidisce il conflitto impedendogli di evolvere in ulteriori posizioni.
E quale sarebbe, si chiede Massimo Marasco, il discorso liberatorio alla rovescia del sadomasochismo?
“Le mie fantasie sadomasochiste sono tutte un gioco di ruolo, o meglio un gioco di coppie a ruoli fissi” (pag. 39). Ruoli fissi che caratterizzano i ruoli famigliari asimmetrici genitori-figli, perché la struttura stessa della famiglia è fondata sulla divisione edipica dei ruoli, che conferma la fondamentale differenza di potere tra soggetto e oggetto: soggetto od oggetto dei bisogni materiali o affettivi; soggetto od oggetto nella dinamica dei rapporti; soggetto od oggetto nel dare e nell’avere (ruoli educativi); soggetto od oggetto dei desideri. Non a caso Marasco intuisce che nelle sue fantasie sono esclusi i rapporti simmetrici: “Il caso assolutamente assente, senza nessuna eccezione, è quello i cui protagonisti sono un fratello e una sorella” (pag. 40).
La legge del tabù dell’incesto.
Il discorso edipico ci introduce alla legge del tabù dell’incesto che, se non viene letta in modo concretistico come nel primo Freud (il figlio ambisce a eliminare il padre per accoppiarsi con la propria madre), si ravvisa come legge universale necessaria al mantenimento stabile dei ruoli. Ma, come acutamente osserva Silvia Montefoschi, nel fluire infinito della vita il rispetto del tabù dell’incesto porta con sé la necessità della sua infrazione. La legge del tabù dell’incesto è una legge universale che impone ai simili di farsi diversi e di restare separati per non fondersi tra loro e poter così mantenere lo spazio dialogico soggetto-oggetto che dà forma al mondo. È la legge che presiede all’esistere stesso della realtà materiale perché tiene separati gli atomi e le particelle di materia-antimateria che altrimenti si accoppierebbero in modo fusionale generando solo energia. Legge quindi fondamentale per l’esistere delle cose, che fonda lo spazio tra i corpi e a cui le dinamiche umane non si sottraggono. Tuttavia, nel divenire della realtà materiale stessa e della vita, la legge del tabù dell’incesto contempla anche la sua violabilità che rende i diversi simili per potersi riconoscere e tornare ad unirsi. La sua violabilità consente il fluire temporale della vita nel suo divenire.
Il sadomasochismo si struttura nell’inviolabilità assoluta della legge del tabù dell’incesto.
Perciò Marasco osserva che “la quasi totalità delle fantasie sadomasochiste tornate ad essere per me le più ricorrenti e le più eccitanti sono situazioni indubbiamente edipiche: i loro protagonisti rappresentano proprio l’iperbolizzazione dei ruoli di madre e padre da una parte, di figlia e figlio dall’altra, i quali rispettivamente diventano addirittura incubi sadici e succubi masochisti” (pag. 42), evidenziando così la violenza sottesa all’inviolabilità della legge del tabù dell’incesto. Diversamente, l’infrazione della legge edipica dell’incesto deve trascendere la violenza sadomasochistica “verticalmente”, cioè percependo che l’unione del corpo con l’altro corpo ha lo stesso valore dell’unione del pensiero con il pensiero dell’altro. L’unione intersoggettiva tra simili, simbolizzata dal rapporto fratello-sorella anziché dal rapporto genitore-figlio, è quella che consente il riconoscimento dell’altro perché permette di pensarlo come soggetto e non come un oggetto da usare; “inconsciamente mi sono sempre proposto alle donne che amavo proprio come ciò che prima di tutto per loro volevo realmente essere: amico e fratello, anche perché la pulsione sessuale prendeva in me da sempre e inevitabilmente la forma del sadomasochismo, in contraddizione profonda con l’aspetto sacrale del rapporto uomo e donna” (pag. 22).
Il rapporto uomo e donna come spirito e corpo.
Qui si apre la considerazione forse più controversa del libro di Massimo Marasco. Una volta disaminato il sadomasochismo come nevrosi alla luce della legge edipica del tabù dell’incesto, la domanda che l’autore si pone e ci pone è: come si “guarisce” realmente dal sadomasochismo?
Marasco innanzitutto si interroga con sorpresa su ciò che non è avvenuto e che si aspettava invece che potesse accadere: “Ho sempre avuto la illusoria certezza che sarei istantaneamente guarito dal sadomasochismo e mi sarei convertito a una sessualità ‘normale’ non appena la donna che amavo avesse corrisposto il mio amore. […] Invece, quando alla veneranda età di 58 anni, ho vissuto la mia prima relazione sessuale, ho potuto constatare che si trattava appunto soltanto di un’illusione” (pag. 46).
Come mai? Massimo Marasco mette in discussione il modo sessuale del rapporto tra uomo e donna: “il canale del rapporto carnale. Esso infatti non solo non è più essenziale a realizzare l’unione, ma è viceversa ostacolo alla percezione della perennità dell’unione stessa, in quanto l’unione carnale si dà soltanto limitatamente nello spazio e nel tempo, mentre se a unirsi è il pensiero al pensiero, il pensiero fattosi vivente nella vita reale di chi in esso e soltanto in esso si riconosce esistente, si intende, non ha alcuna interruzione nella dimensione spazio temporale” (p. 49-50). Riprende le ultime riflessioni di Silvia Montefoschi in cui l’autrice dichiara che l’accesso al rapporto intersoggettivo, quale vera unione tra l’uomo e la donna, è possibile solo con la liberazione dell’amore dal limite dell’unione materiale dei corpi o, in altre parole, con l’uscita dalla sessualità che paradossalmente separa anziché unire. La sessualità, infatti, sembra confermare l’amore tra diversi, perché è possibile solo in quanto il maschio e la femmina sono morfologicamente e biologicamente diversi. La sessualità così intesa, con le dinamiche di possesso che porta con sé per ovviare quell’unione intima e indissolubile che la separatezza dei corpi non può dare, sembra rendere difficile un reale rapporto intersoggettivo tra simili. Osserva Marasco: “La sessualità si conferma dunque come la negazione dell’intersoggettività e della coniunctio. E’ un fatto che l’ultima ricaduta nel sadomasochismo è avvenuta proprio in corrispondenza della mia prima esperienza di un amore tradizionale basato sulla sessualità” (pag. 55).
Scrive Silvia Montefoschi: “Ci si unisca pure corporalmente se si attivano gli ormoni, l’importante è che ci si renda conto che non è lì che si dà la coniunctio, come il nutrimento umano non si dà nella pastasciutta, ma si dà nel pensiero, anche se si deve mangiare come un qualsiasi animale”.
Un discorso che si può prestare al porre ancora una frattura nell’Essere tra corpo e spirito, tra materia e pensiero. Frattura che, del resto, ha spesso caratterizzato anche la spiritualità monastica in cui alle “cose del mondo” veniva contrapposta la “parola di Dio”; i monaci vivevano in castità per dire all’uomo la caducità delle cose materiali e dell’amore carnale. Sappiamo però anche da recenti vicende che così la sessualità carnale viene fatta uscire luminosamente dalla porta ma rientra in modo oscuro dalla finestra.
È vero, come afferma Montefoschi che il nutrimento umano si dà nel pensiero, anche se “si deve mangiare come un qualsiasi animale”; eco di una nota affermazione del Cristo tentato dal diavolo nel deserto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Eppure, è mia opinione che la coscienza dell’uomo inevitabilmente trascenda tutta la dimensione animale, non solo la capacità di pensiero e conoscenza. Tutto dell’uomo è irriducibilmente umano, compresa la dimensione corporea e istintuale che assumono un significato diverso da quello animale. Per l’uomo il mangiare non assolve mai il mero nutrimento, ma porta con sé una dimensione simbolica e relazionale inveterata. Non a caso la dimensione patologica dell’alimentazione - l’anoressia - mette in scacco proprio la necessità del mangiare per sopravvivere; abbiamo visto che proprio la nevrosi evidenzia come in un negativo fotografico ciò che è la tensione specifica dell’essere umano rispetto al mero bisogno istintuale. Solo l’uomo può sviluppare un comportamento anoressico, l’animale non ne è capace. Così il sadomasochismo esiste nell’uomo e non nell’animale, perché anche la sessualità umana trascende la biologia ormonale tesa all’accoppiamento per il perpetuarsi della specie.
Certo, dobbiamo ricordarci che è la dimensione simbolica (intesa in modo junghiano) che permette di unire gli opposti e che trascende l’apparente riferimento al concreto anche della dimensione umana. La psicopatologia evidenzia il contrasto tra gli opposti proprio per richiamarci il valore del simbolo: il contrasto tra condotta anoressica e condotta bulimica, tra sadismo e masochismo, ci rammenta che alimentazione e sessualità non sono (solo) istinti ma simboli di unione e relazionalità nell’uomo. La separatezza tra spirito e corpo, tra soggetto e oggetto, tra uomo e donna è superata dal simbolo e dalla sua attività immaginativa e creativa di gioco. Anche nel gioco sessuale e nell’immaginario che l’accompagna c’è la possibilità del superamento della nevrosi che ci inchioda all’interdipendenza e alla separatezza. La perversione, nel senso etimologico dell’andare in un’altra direzione rispetto a ciò che sarebbe spontaneo e naturale, ci può paradossalmente indicare la via per l’intersoggettività dell’incontro se esce dal comportamento immediato e concretistico e accede all’immaginario simbolico.
Anche Massimo Marasco giunge a queste considerazioni quando osserva che “nel momento in cui si raggiunge la nuova logica unitaria, superando la logica della separazione, e si arriva pertanto a comprendere che il nostro corpo è il nostro pensiero e il nostro pensiero è il nostro corpo, l’amore, seguendo in pensiero con il quale è tutt’uno, comincia a dirsi e a darsi nell’interità della nostra forma vivente, imparando a sua volta a percepirsi non più come un corpo che ama bensì come il corpo dell’amore. Così, se arriviamo a concepire la nostra forma vivente contemporaneamente come il corpo del pensiero e il corpo dell’amore, l’unione del pensiero con l’altro pensiero equivale all’unione del corpo con l’altro corpo” (pag. 79-80).
Ritengo dunque che la domanda che l’autore si pone - se per superare il sadomasochismo si debba pensare solo all’unione sul piano del pensiero tralasciando quella sessuale nel corpo - sia una domanda aperta al come si possa vivere la propria dimensione d’Ombra nell’interezza del nostro essere Soggetti aperti al rapporto intersoggettivo con l’altro. Per questo osserva: “Sento però che il mio corpo non è diventato ancora corpo del pensiero tutt’uno con il corpo dell’amore, perché non è ancora soltanto l’agire del mio pensare. Pertanto la conflittualità del mio rapporto con il femminile persiste perché, mentre con le ‘donne sorelle’ non ho timore di cercare di instaurare una relazione, dalle ‘donne succubi’ continuo a fuggire, per paura di non riuscire a contenere l’impulso al sadismo. […] Mi è venuto in mente che il conflitto fondamentale, la spaccatura radicale che dovrebbe essere affrontata al fine di essere ricomposta è proprio quella della mia interlocutrice interiore” (pag. 82).
“Eppure devo ammettere che la grande emozione che sempre ho provato e provo nelle relazioni di senso non dà luogo a quella dirompente sensazione di piacere e di unione con l’altro, seppure brevissima e illusoria, che solo l’orgasmo riesce a dare […] ma finché siamo qui, come si fa a non passare attraverso i sensi?” (pag. 93-94).
Per concludere, sottolineo che tutte queste considerazioni sono esposte nello stile di scrittura vivo di Massimo Marasco, che parte dalla sua esperienza concreta e sofferta per trasformare il vissuto in riflessione e domanda, secondo l’insegnamento di Silvia Montefoschi che iniziava la sua famosa opera, L’Uno e l’Altro, proprio allo stesso modo: “Il primo interrogativo che mi pongo, per analizzare le operazioni che si compiono entro il rapporto tra me e il paziente, si rivolge al che cosa io faccio. Io non agisco direttamente sugli istinti, non sugli affetti, non sulla struttura psichica data come cosa; io mi rivolgo ad un soggetto nella misura in cui egli si rivolge a me”.
Non c’è qui spazio per una mera riflessione astratta sul tema del sadomasochismo; Marasco riflette sulla sua personale esperienza e ne trae una visione che ci dice molto sulle dinamiche relazionali dell’essere umano; che va al di là della facile separazione tra il normale e il patologico; che ci interroga su come noi stessi viviamo i rapporti con i nostri simili. Si tratta di poter mettere insieme in un pensiero unitario il particolare e l’universale, poter leggere l’esperienza che si dà in noi individui per giungere a comprendere l’altro e ciò ci accomuna a tutto l’Essere nella sua continua evoluzione. Le cose non hanno di per sé un significato se non è illuminato dalla luce della coscienza. Se è vero, come scriveva Montefoschi, che la coscienza dell’uomo oggi è il livello più esteso di coscienza in cui l’Essere ha preso consapevolezza di sé nel processo evolutivo del Vivente, allora l’uomo che si interroga alla luce della sua capacità riflessiva è in grado di dare il suo apporto personale al processo di evoluzione della realtà intera. Per questo motivo le riflessioni di Massimo Marasco vanno ben oltre la testimonianza del suo vissuto personale e ci coinvolgono interrogandoci su come intendiamo anche noi il rapporto tra uomo e donna e tra simili.